Da Koinonia - forum 304, 24 aprile 2012
Con tutta l'anima spero nel Signore e conto sulla sua parola:
Spero nel Signore e l'attendo più che una sentinella l'aurora.
Tutto Israele speri nel Signore: egli è buono e può liberarci.
Il Signore libera il suo popolo da tutti i suoi peccati.
Salmo 130, 5-7
Perché è vero che siamo salvati, ma soltanto nella speranza.
E se quel che si spera si vede, non c'è più una speranza,
dal momento che nessuno spera ciò che già vede. Se invece
speriamo quel che non vediamo ancora, lo aspettiamo con pazienza.
E se quel che si spera si vede, non c'è più una speranza,
dal momento che nessuno spera ciò che già vede. Se invece
speriamo quel che non vediamo ancora, lo aspettiamo con pazienza.
Romani 8, 24-25
Sia l’Antico che il Nuovo Testamento descrivono la nostra esistenza in rapporto a Dio come una relazione di attesa. Nel salmista c’è un’attesa ansiosa; nell’apostolo c’è un’attesa paziente. Aspettare significa non avere e al tempo stesso avere. Dal momento che non abbiamo ciò che attendiamo; o, come dice l’apostolo, se noi speriamo in quello che non vediamo, allora lo aspettiamo. La condizione della relazione dell’uomo con Dio è prima di tutto di non avere, non vedere, non conoscere e non comprendere.
Una religione nella quale questo viene dimenticato, non importa quanto sia estatica o attiva o ragionevole , sostituisce Dio con la propria creazione di un’immagine di Dio. La nostra vita religiosa è caratterizzata più da questo genere di creazione che da qualcos’altro. Penso al teologo che non aspetta Dio, perché Lo possiede, racchiuso in una dottrina. Penso a chi studia la Bibbia che non aspetta Dio,perché Lo possiede, chiuso in un libro. Penso all’uomo di chiesa che non aspetta Dio, perché Lo possiede, chiuso in una istituzione. Penso al credente, che non aspetta Dio perché lo possiede, chiuso nella sua propria esperienza. Non è facile sopportare questo non avere Dio,questo aspettare Dio. Non è facile pregare domenica dopo domenica senza convincere noi stessi e gli altri che noi abbiamo Dio e che possiamo disporre di Lui. Non è facile proclamare Dio ai bambini e ai pagani, agli scettici e agli atei, e al tempo stesso spiegare loro chiaramente che noi stessi non possediamo Dio, che anche noi Lo aspettiamo. Sono convinto che gran parte della ribellione contro il Cristianesimo è dovuto all’aperta o non esplicita pretesa dei cristiani di possedere Dio, e perciò, anche, alla perdita di questo elemento dell’attesa, così decisivo per i profeti e gli apostoli. Non lasciamoci deludere nel pensare che, poiché parlano di attesa, essi aspettassero solamente la fine, il giudizio e l’adempimento di tutte le cose, e non Dio il quale venisse a portare tale fine. Essi non possedevano Dio; Lo aspettavano. Ma come può essere posseduto Dio? È Dio una cosa che può essere afferrata e conosciuta tra le altre cose? È Dio inferiore a una persona umana? Abbiamo sempre da aspettare un essere umano. Persino nella più intima comunione tra esseri umani, c’è un elemento di non avere e non conoscere, e di aspettare.
Perciò, poiché Dio è infinitamente nascosto, libero, e incalcolabile dobbiamo aspettarLo nel modo più assoluto e radicale. Egli è Dio per noi proprio nella misura in cui noi non Lo possediamo. Il salmista dice che il suo intero essere aspetta il Signore, indicando che aspettare Dio non è semplicemente una parte della nostra relazione verso Dio, ma piuttosto la condizione di quel rapporto come un tutto. Abbiamo Dio benché non Lo abbiamo.
Ma, sebbene aspettare sia non avere, è anche avere. Il fatto che aspettiamo qualcosa mostra che in qualche modo già la possediamo. Aspettare anticipa ciò che non è ancora reale. Se aspettiamo con speranza e pazienza, il potere di ciò che aspettiamo è già reale dentro di noi. In definitiva colui che aspetta non è lontano da ciò che aspetta. Colui che aspetta con pazienza ha già ricevuto il potere di ciò che attende. Colui che aspetta ardentemente è già un potere attivo lui stesso, il più grande potere di trasformazione nella vita personale e storica. Siamo più forti quando aspettiamo che quando possediamo. Quando possediamo Dio, Lo riduciamo a quella piccola cosa che conosciamo e che afferriamo di Lui; e ne facciamo un idolo. Soltanto nell’idolatria si può credere nel possesso di Dio. C’è molto di questa idolatria tra i Cristiani.
Ma se sappiamo che non Lo conosciamo, e se aspettiamo che Egli riveli se stesso a noi, allora conosciamo veramente qualcosa di Lui, allora siamo afferrati e conosciuti e posseduti da Lui. È allora che siamo credenti nella nostra incredulità, e che siamo accettati da Lui nonostante la nostra separazione da Lui.
Non dimentichiamo, comunque, che aspettare è una tremenda tensione. Preclude tutta la soddisfazione di non avere nulla, l’indifferenza o il cinico disprezzo verso coloro che hanno qualcosa, e il lasciarsi andare al dubbio e alla disperazione. Non permettiamo che il nostro orgoglio di non possedere nulla diventi un nuovo possesso. Questa è una delle grandi tentazioni del nostro tempo, poiché restano poche cose che possiamo dichiarare di possedere. E ci arrendiamo alla stessa tentazione quando ci vantiamo, nel nostro tentativo di possedere Dio, che non Lo possediamo. La risposta divina ad un tale tentativo è il vuoto assoluto. Aspettare non è la disperazione. È l’accettazione del nostro non avere, nel potere di ciò che già abbiamo.
Il nostro tempo è un tempo di attesa; aspettare è il suo speciale destino. E ogni tempo è un tempo di attesa, l’attesa per l’irruzione dell’eternità. Il tempo scorre avanti. Il tempo, sia nella storia che nella vita personale, è attesa. Il tempo stesso è aspettare, aspettare non un altro tempo, ma ciò che è eterno.
Paul Tillich