È uno dei momenti decisivi nella vita di Francesco, carico di un profondo significato simbolico: lo sposalizio solenne, definitivo e pubblico di Francesco con Madonna Povertà. Tuttavia, oggi – scherzi dell’età – immaginando la scena il mio pensiero va istintivamente non a Francesco ma a suo padre che nel dramma che si andava rappresentando in quella piazza aveva solo un ruolo da comprimario; il ruolo del cattivo, per la precisione.
Io oggi mi chiedo se c’era bisogno di tutta quella teatralità; a Francesco non sarebbe bastato semplicemente andarsene di casa, in silenzio, magari nel cuore della notte, come aveva fatto chissà quante altre volte per scopi meno nobili, risparmiando a suo padre un dileggio pubblico forse eccessivo per le sue pur numerose colpe? E mi chiedo anche se Pietro di Bernardone fosse veramente così avido e insensibile come viene descritto dagli agiografi o se piuttosto si tratti del solito artificio letterario per esaltare la generosità d’animo di Francesco. E soprattutto mi chiedo se l’atteggiamento di Francesco fosse del tutto immune da una certa ostentazione, da un certo autocompiacimento; le sue parole hanno una grande carica spirituale ma sanno anche di sfida, di provocazione, un atteggiamento che non avrà mai più nel corso della sua vita, neanche davanti al Sultano.
Forse una possibile risposta a queste domande va ricercata nel fatto che allora Francesco era un baldanzoso giovane di vent’anni, si sentiva ancora un cavaliere destinato a gesta eroiche e un cavaliere ha bisogno di una consacrazione adeguata per essere veramente tale. Le sue parole – sante ma anche terribili come tutte le parole di ripudio – sembrano quelle del giuramento di un cavaliere nell’atto dell’investitura. Quel giorno, forse, doveva necessariamente andare così.
Ma allora mi chiedo perché questo strappo non si sia più ricucito giacché, almeno per quanto ne sappiamo, Francesco non cercò mai una riconciliazione, neanche negli ultimi anni della sua esistenza. Eppure il tempo trascorso e le sofferenze che neanche a lui la vita aveva risparmiato avrebbero dovuto indurlo a ripensare con maggior comprensione alla figura del padre e al dolore che inevitabilmente la sua scelta di vita gli aveva procurato.
Tante domande alle quali, come spesso succede, non c’è risposta. Domande forse addirittura oziose, alle quali non è estranea un’istintiva compassione per un pari età. Un fatto però è certo: Francesco, l’uomo della fratellanza universale, ha chiamato “fratello” finanche un animale feroce ma non suo padre, “sorella” finanche la morte ma non sua madre; “fratello padre, sorella madre” sono le uniche parole d’amore che non ha mai pronunciato.
Tuttavia, in questi giorni di ottobre in cui viene proposto alla devozione dei fedeli come il “più santo degli italiani e il più italiano dei santi”, io trovo in questa sua umanissima incapacità di superare l’eterno conflitto generazionale un ulteriore motivo per amarlo.
Pietro Urciuoli
Ecclesiaspiritualis.blogspot.it