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giovedì 14 agosto 2014

Francesco d'Assisi secondo Ernesto Buonaiuti

Nell’imponente produzione di Ernesto Buonaiuti (1881-1946) un posto di primaria importanza occupano le opere dedicate alla storia del cristianesimo tardo medievale, un filone di ricerca avviato nel 1925 in coincidenza di un corso accademico sui rapporti tra spiritualità gioachimita e movimento francescano[1].
Si trattava di anni molto travagliati per Buonaiuti, anni nei quali si erano andati sempre più inasprendo quei contrasti con il Vaticano che sarebbero culminati con la sospensione a divinis e la scomunica expresse vitandus del 25 gennaio 1926.
Il suo Francesco d’Assisi venne pubblicato nel 1925 per le edizioni Formiggini nella collana “Profili” e come molti altri suoi lavori venne posto all’Indice dal Sant’Uffizio. Trattasi di un testo molto breve, senza pretese di rigore storico ma non per questo meramente divulgativo, il cui scopo è offrire al lettore - in linea con l’obiettivo della collana nella quale è inserito - un profilo cursorio ma essenziale del frate di Assisi[2].
L’opera di Ernesto Buonaiuti risente certamente, così come altre pubblicate in quel medesimo periodo in concomitanza del settimo centenario della morte di san Francesco, della lezione di Paul Sabatier[3]. Tuttavia ciò non sminuisce affatto il contributo del Buonaiuti che si distingue per l’originalità e la lucidità con cui vengono tratteggiati i passaggi fondamentali della vita di Francesco di Assisi.
La sua conversione, ad esempio. Per Buonaiuti «La conversione di Francesco non poteva essere l’adesione intellettuale riflessa ad una fede religiosa per lo innanzi disconosciuta. Egli non aveva mai rinnegato il simbolo del suo battesimo e non si era mai pubblicamente allontanato dalle pratiche devozionali dei suoi conterranei. Le sue esuberanze giovanili non erano nulla di più grave e di più indecoroso di tutto quello che ogni chiesa ufficialmente costituita perdona generosamente alla sua gioventù. […] Francesco si è convertito piuttosto il giorno in cui, di contro a tutto il ciarpame vuoto e pesante delle convenzioni umane, delle menzogne sociali, delle ipocrisie sanzionate, dei gretti interessi materiali che avvelenano le anime, offuscano i rapporti fraterni, stravolgono e contraffanno le leggi spontanee e primitive della vita associata, ha riguadagnato, di questa vita associata, l’economia spontanea e il tessuto elementare, nel precetto dell’amore e nel dovere del pronto, sorridente sacrificio. Quel giorno, annullando quell’artefatta inversione di valori che è alle scaturigini e alla base della associazione pubblica ed economica degli uomini, ed invertendola a propria volta, ha ritrovato la genuina gerarchia di valori che la vita cosmica impone a una creatura ragionevole che sogni attuare, nella pienezza delle sue energie specifiche, il proprio spirituale destino»[4].
Francesco realizza così, con i primi frati che si riuniscono intorno a lui, un modello di vita religiosa completamente nuovo, in grado di intercettare la diffusa domanda di genuinità evangelica del laicato del suo tempo senza per questo entrare in aperto contrasto con la Chiesa istituzionale: «Altri, prima di Francesco, avevano tentato di dare espressione concreta al disagio gravoso in cui la ibrida costituzione politico-religiosa della Chiesa, tratta dalla mole stessa dei suoi interessi e dal groviglio delle sue interferenze terrene a tutti gli adattamenti e a tutte le complicità, gettava gli spiriti più sensibili e le anime più timorate. Ma il superamento delle barriere concettuali e disciplinari, in cui la tradizione e l’istinto di conservazione cercano di tenere mortificato e frenato lo spirito fermentante della libertà cristiana, non era stato in essi deciso e trionfale. Non aveva cioè raggiunto quella stupenda condizione di assoluta e olimpica tranquillità nella quale non appare più necessario insorgere positivamente contro le forme consuetudinarie della mediocrità spirituale per abbatterle, appare invece sufficiente svuotarle di contenuto nell’atto stesso in cui le si accettano o le si tollerano»[5].
Tuttavia, nonostante i buoni propositi di Francesco e compagni, i contrasti con la gerarchia ecclesiastica non si fanno attendere. A tal proposito Buonaiuti osserva che la Chiesa istituzionale se, per un verso, ha bisogno che periodicamente nascano nuclei spontanei in grado di mostrare alla cristianità che quello evangelico non è un astratto e irrealizzabile ideale, per altro verso tende a controllarne l’espansione e l’incidenza affinché tali nuclei «non escano dalle proporzioni di minoranze infinitesimali, viventi ai margini della grande collettività esteriormente credente o non si atteggino a mentori troppo petulanti e a giudici troppo intransigenti degli accomodamenti, delle acquiescenze e delle transazioni ufficiali»[6]. E ancora: «Le insigni innovazioni della libera spiritualità cristiana nel mondo delle tradizioni e delle discipline costituite non possono acclimatarsi senza provocare l’ostilità rabbiosa e cieca del misoneismo farisaico, di cui vive la massa di tutte le istituzioni sociali. Molti, in curia, dovevano avere terribilmente a fastidio questa fraternità costituitasi intorno a Francesco, che non aveva sedi fisse e ordinamenti ben chiari; che girovagava liberamente per i comuni e le campagne d’Italia, praticando e bandendo il Vangelo in una maniera che lasciava praticamente in non cale la gerarchia, i suoi poteri e le sue consuetudini»[7].
Un contrasto che diviene insanabile negli anni della elaborazione normativa dell’Ordine dei Minori, tra il 1221 e il 1223: «Quale valore pertanto egli avrebbe potuto assegnare ai tentativi, da qualunque parte venissero, di codificare e di stilizzare in aride formule prescrittive quella che ai suoi occhi doveva restare una pura attitudine di spiriti votati all’ideale dell’universale fraternità nella pace e nella gioia? Il codice della perfezione, quale egli lo aveva vagheggiato e quale voleva fosse con pari fervore bramato dai suoi amici era, tutto, nei pochi incisi neotestamentari ch’egli aveva sottoposto all’esame sbigottito di Innocenzo III. Ogni loro ampliamento esegetico importava una depauperazione; ogni clausola di commento e di specificazione significava un abbassamento»[8]. Un cambiamento di paradigma – da fraternitas a ordo – i cui risvolti psicologici in Francesco di Assisi non sfuggono al Buonaiuti: «Attraverso le angosciose ore della sua ineffabile tragedia Francesco dovette convincersi suo malgrado che il compito di salvare senza un’ombra di concessione l’idealità che aveva alimentato il sogno della “conversione” era superiore alle sue forze; o meglio, che era al di là delle capacità ricettive della vita associata, che il suo fascino e la sua parola avevano cementato. E allora, affinché qualcosa potesse pur sopravvivere del suo iniziale programma volle riservare ad ogni costo a sé medesimo l’onere di compilare ed allestire le regole che le pressioni della curia ormai impietosamente esigevano»[9].
Il cammino della istituzionalizzazione è ormai inevitabilmente aperto e viene percorso con sempre maggiore decisione già all’indomani della morte di Francesco: «La mattina dopo la venerata salma era trasportata senza indugio, per volontà di frate Elia, ad Assisi. Cominciava la triste odissea dell’ideale francescano. Ché gli uomini san trovare un magnifico diversivo alla loro congeniale neghittosità e al loro funzionale fariseismo avvolgendo negli incensi della loro devozione le figure d’eccezione che avrebbero voluto invece unicamente trasformare e innalzare il tenore della loro vita. L’ordine, già sfuggito alla direzione effettiva di Francesco, si accingeva a battere, con ritmo accelerato, la via della consacrazione ufficiale nella chiesa e nel mondo. Francesco aveva sognato i fratelli messaggeri umili e poveri di pace e di perdono: l’ordine avrebbe innalzato dovunque le sedi stabili del suo magistero. Francesco aveva maledetto il fratello che a Bologna aveva per primo sanzionato la contaminazione della scienza con l’idealità minoritica: l’ordine sarebbe entrato a vele spiegate nell’insegnamento accademico. Francesco aveva deprecato ogni privilegio curiale: l’ordine avrebbe questuato a Roma le bolle del suo ambiguo e clandestino arricchimento. Francesco aveva prescritto la povertà dell’arredamento e della suppellettile sacra: Elia avrebbe dedicato alla sua memoria un monumento senza pari»[10].
Tutto è perduto, quindi, dell’originario messaggio di Francesco? Niente affatto. «Francesco d’Assisi aveva praticato la superiore economia dello spirito, risollevando in pieno la sublime semplicità della vita evangelica. Ma non appena la sua idealità si era concretata in una forma di vita associata la sua purezza sembrava essersi offuscata e il suo ardore impedito. I risultati dell’esperienza da Lui incarnata non sono stati per questo meno imponenti. […] I grandi maestri dell’umanità vivono immortali proprio in virtù del lento, macerante martirio a cui debbono essere sottoposti le loro aspirazioni e il loro programma, per fiorire e fruttificare sul solco arido, ingrato e tardo della vita associata»[11].
In definitiva, Buonaiuti legge nelle vicende del francescanesimo delle origini il contrasto tra Chiesa gerarchica e Chiesa spirituale, istituzione e carisma, sacerdozio e profezia, clericalismo e laicità, un contrasto che si ripropone drammaticamente uguale, nelle sue linee essenziali, a sette secoli di distanza. E proprio alle risposte che Francesco diede a questo contrasto il movimento modernista deve guardare se vuole perseguire l’obiettivo di costruire, come diremmo oggi, non tanto un’altra Chiesa quanto una Chiesa altra.
In tutto questo non sfugga, infine, una forte componente autobiografica; un modello di santità laica vissuta fuori dal tempio non poteva non esercitare un potentissimo richiamo su chi, come Buonaiuti, sentiva di appartenere alla generazione dell’esodo, una generazione protesa nello sforzo di scrollarsi di dosso il peso delle superfetazioni extra-evangeliche ereditate da un ingombrate passato: «In fondo al mio spirito c’era costantemente il presentimento istintivo che ci son trapassi storici i quali impongono alla generazione dell’esodo lunghe, penose, errabonde peregrinazioni. Ed io sentivo di appartenere ad un nucleo di precursori. Altri, dopo di me, avrebbe salutato all’orizzonte il profilo evanescente della terra promessa»[12].

Pietro Urciuoli
agosto 2014



[1] Ernesto Buonaiuti era dal 1919 professore ordinario di Storia del cristianesimo presso l’Università di Roma e sino ad allora si era dedicato alla storia del cristianesimo delle origini. Il corso tenuto nel 1925 sarebbe stato dato alle stampe molti anni più tardi, nel 1958, sulla rivista “Religio” da lui stesso fondata nel 1919 con il titolo Il messaggio gioachimita e la “religio” francescana.
[2] Con l’editore Angelo Fortunato Formiggini, suicida per protesta contro il regime fascista, Buonaiuti ebbe una fruttuosa collaborazione concretizzatasi in altre opere pubblicate nella medesima collana tra cui Gesù, Sant’Agostino, San Paolo, Tommaso d’Aquino e, per la collana “Medaglie”, Alfred Loisy. Sempre nel 1925 Ernesto Buonaiuti pubblicò altri lavori su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo: tra questi Il settimo centenario francescano in “Rivista d’Italia” e Origini cristiane e movimento francescano in “Ricerche Religiose”. La biografia di Francesco di Assisi del Buonaiuti è stata ristampata nel 1997 dalle Edizioni Biblioteca Francescana, con introduzione di Sandra Migliore.
[3] La Vie de Saint François d’Assise pubblicata a Parigi nel 1894 da Paul Sabatier rappresenta sicuramente una pietra miliare nella storia della storiografia francescana. Il Sabatier ha inoltre il merito di aver avviato quell’analisi storico-filologica delle fonti biografiche disponibili su Francesco d’Assisi che va sotto il nome di “questione francescana”.
[4] E. Buonaiuti, Francesco d’Assisi, Ed. Formiggini, Roma 1925, p. 26.
[5] Ivi, p. 30.
[6] Ivi, p. 33.
[7] Ivi, p. 60.
[8] Ivi, p. 63.
[9] Ivi, p. 66.
[10] Ivi, p. 75.
[11] Ivi, p. 77.
[12]E. Buonaiuti, Il pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo, Ed. Darsena, Roma 1945, p. 111.