Piero Stefani, in Koinonia-forum n. 389/2014
In vista delle prossime
elezioni (in parte anche amministrative) l’Arcivescovo di Ferrara – Comacchio
Luigi Negri ha rivolto ai «carissimi
figli e figlie» della sua diocesi un messaggio.
La sua prima parte, quella
fondante, afferma:
”Come Vescovo la mia prima
inderogabile missione è l’annuncio del Vangelo quale via della libertà, della
responsabilità e della salvezza. Nel Vangelo che vi debbo annunciare è
contenuta anche una precisa concezione dell’uomo e di tutta la sua realtà, che
costituisce il nucleo portante della Dottrina Sociale che la Chiesa ha sempre
proclamato e testimoniato.
Si
tratta dei “principi non negoziabili” che sono il patrimonio di ogni persona,
perché inscritti nella coscienza morale di ciascuno, ed in particolare
costituiscono il criterio ineludibile per i giudizi e le scelte temporali e
sociali del cristiano. Li elenco sinteticamente: la dignità della persona
umana, costituita ad immagine e somiglianza di Dio, e quindi irriducibile ad
ogni condizionamento sia di carattere personale che sociale; la sacralità della
vita dal concepimento alla morte naturale, indisponibile a tutte le strutture
ed a tutti i poteri; i diritti e le libertà fondamentali della persona: libertà
religiosa, della cultura e dell’educazione; la sacralità della famiglia
naturale, fondata sul matrimonio, sulla legittima unione cioè fra un uomo e una
donna, responsabilmente aperta alla paternità e alla maternità; la libertà di
intrapresa culturale, sociale, e anche economica in funzione del bene della
persona e del bene comune; il diritto ad un lavoro dignitoso e giustamente
retribuito, come espressione sintetica della persona umana; l’accoglienza ai
migranti nel rispetto della dignità della loro persona e delle esigenze del
bene comune; lo sviluppo della giustizia e la promozione della pace; il
rispetto del Creato.
Ecco
l’orizzonte immutabile di ogni giudizio, e del conseguente impegno del
cristiano nella società, ma anche la chiave di valutazione delle persone, dei
raggruppamenti partitici e dei rispettivi programmi, affinché si favorisca la
promulgazione di leggi coerenti con le fondamentali esigenze della dignità
umana".
Che la Chiesa abbia sempre proclamato e
testimoniato tutto ciò è un palese falso storico su cui non vale la pena
soffermarsi. Più interessante è chiedersi chi sono coloro a cui Negri si
rivolge con l’appellativo di «figli e figlie»: sono solo i credenti
praticanti? Se fosse così sarebbe
coerente richiamarsi ai diritti della
persona creata a immagine e somiglianza di Dio; se invece quella qualifica si
estende a ogni residente nella sua diocesi bisognerebbe far riferimento ai
diritti umani che hanno un’altra base fondativa (qualunque essa sia) e non già a quelli della persona (per questa
capitale differenza vedi D. Menozzi, Chiesa
e diritti umani, il Mulino, Bologna 2012).
L’uso dell’ormai anacronistica espressione
di «valori non negoziabili» (da cui ha preso apertamente le distanze papa
Francesco) lascia presupporre che Negri compia un’indebita sovrapposizione tra
i diritti umani e quelli della persona. È evidente che anche il cattolico impegnato in politica crede che la persona
umana sia stata creata a immagine e
somiglianza di Dio; ma ciò non intacca il fatto che questo suo convincimento
non vada direttamente assunto come un argomento a sostegno di decisioni pubbliche che riguardano pure
individui o gruppi che non condividono la sua fede ma vivono, al pari di lui,
in una società pluralista. In un contesto pubblico le argomentazioni devono
essere di altra natura e vanno articolate, pur all’interno di una varietà di
opzioni, facendo appello a un linguaggio condiviso (per esempio i principi
della Costituzione italiana, testo che non nomina mai Dio).
Sul piano della riflessione interna alla
comunità ecclesiale molte perplessità provoca la saldatura (che in Negri sembra essere addirittura una fusione)
tra il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa, espressione, quest’ultima,
di un magistero storico nato solo a fine Ottocento in larga misura per rispondere
a istanze sollevate dai movimenti socialisti (in precedenza la condizione
operaia non sollevava, nella maggior parte dei cattolici, più problemi di
quanto, nel corso del Medioevo, l’avesse fatto la condizione dei servi della
gleba).
In realtà il cortocircuito in cui cade mons.
Negri è evidente là dove egli prospetta il Vangelo non come una via per morire a se stessi per
rinascere in Gesù Cristo, ma come fattore che costruisce identità
collettive. O, più esattamente, la procedura è portata avanti fino al punto da
affermare che proprio la rinascita in Gesù Cristo si presenta come una via per istituire un’identità collettiva
omogenea nella forma ad altre identità, ma distinta da queste ultime in base a
valori propri che però sono presentati come se fossero comuni. Solo una
posizione del genere può infatti spiegare, dal punto di vista sia logico sia
spirituale, come l’Arcivescovo (ma non sarebbe ora di abolire questo “Arci”
nobiliar-feudale?), nella sua recente lettera pastorale “Collaboratori
della vostra gioia” possa chiamare in
causa un brano di Paolo radicalmente anti-identitario (di passaggio, è l’unica
citazione biblica dell’intero documento) proprio come fondamento di una
supposta identità storico-collettiva del popolo cristiano: «Il primo valore che
richiamo in questa mia lettera (…) è il recupero dell’identità cristiana come
identità di popolo. Il popolo a cui faccio riferimento non è quello che ha la sua radice nella
natura, nella storia, nella tradizione, nella cultura, nelle condizioni economiche,
politiche e sociali, elementi tutti importanti ma non determinanti. Penso
piuttosto alla frase di San Paolo: “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né
libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Gesù Cristo”
(Gal 3,28)».
Piero Stefani