Dunque si poteva ridisegnare la curia in senso più collegiale, non c’era il diritto canonico da riscrivere. Si poteva aprire almeno uno spiraglio sulla situazione dei divorziati risposati, non c’era un dogma di fede da riformulare. Si poteva porre mano a una riforma dello IOR, non c’era nessuna legge dello Stato Vaticano da abrogare. I cambiamenti avviati in così poco tempo da Bergoglio dimostrano che cambiare si poteva, bastava solo volerlo.
A tutto ciò va aggiunto anche un radicale cambiamento dello stile pastorale: la sobrietà nel vestire, la spontaneità dell’approccio, la familiarità del linguaggio stanno creando intorno al nuovo vescovo di Roma un’ondata di incontenibile entusiasmo, l’entusiasmo del popolo di Dio che finalmente si riconosce nel suo pastore.
Ma per quanto incoraggianti siano tutti questi segnali non bisogna dimenticare che la vera urgenza da affrontare è la riforma del papato. Teologi di tutto il mondo sono concordi nel sostenere che è questo il nodo da sciogliere se si vuole realizzare davvero l’unità dei cristiani, se si vuole ridare libertà e dignità all’episcopato, se si vuole promuovere la crescita del laicato. I correttivi localizzati o i cambiamenti di stile, se non inquadrati in un complessivo progetto di rigenerazione ecclesiale che parta dal vertice, rischiano di essere come la toppa nuova sul vestito vecchio.
Il senso di questi primi mesi del nuovo pontificato è che cambiare si può, ma occorre volerlo. Se Bergoglio vorrà davvero intraprendere la strada di un vigoroso rinnovamento non facciamogli mancare la nostra preghiera e il nostro apporto.
Pietro Urciuoli
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